I ponti mobili di Venezia

“Ci sono due metodi per muoversi nella città di Venezia: a piedi e in barca”, scriveva il prolifico biografo rinascimentale di Venezia Marin Sanudo.
I viaggiatori moderni a Venezia vivono la città soprattutto a piedi. Forse la sfida più grande per la rete pedonale attraverso questo paesaggio acquatico, attraversato da più di 400 ponti, è la grande via d’acqua che taglia in due la città, il Canal Grande. Storicamente l’unico ponte che lo attraversava era quello di Rialto – originariamente un ponte di legno che è crollato in diverse occasioni, finché non fu ricostruito in pietra nel 1588. Era invece una rete di traghetti che permetteva alla gente di spostarsi, e teneva la città in movimento. I prezzi bassi e i molteplici punti di attraversamento assicuravano la connettività tra le due sponde del Canal Grande oltre a collegare la Giudecca, San Giorgio Maggiore e le altre isole.
Sebbene in tempi moderni il numero di questi punti di attraversamento si sia drasticamente ridotto, essi sono comunque ben segnalati nella mappa della città di Ludovico Ughi (utilizzata nell’app Hidden Venice) che elenca 21 punti di attraversamento, mentre nel Cinquecento se ne contavano addirittura 40. I barcaroli si unirono come mariegola (corporazione) nel 1348, ma i loro servizi sono documentati sin dal 1293. Il regolamento della corporazione del 1577 stabiliva tariffe fisse molto basse (un bagattino, moneta di basso valore) per una traversata, mentre ai barcaroli era vietato portare armi, giocare d’azzardo o a carte.

Nessun controllo di questo tipo veniva esercitato sulle élite che possedevano gondole di proprietà, anche se durante il Rinascimento vennero introdotte regole per controllare il lusso esibito da queste imbarcazioni private. A partire dal 1609 le gondole dovettero essere nere, così che l’ostentazione del proprio status si indirizzò verso l’uso di tessuti di lusso per i cuscini e gli arredi, oltre che per il baldacchino mobile (felze). Nonostante le multe elevate, l’ostentazione persistette. Ancora una volta, è Sanudo che ci informa che avere e mantenere una gondola era più costoso che tenere un cavallo sulla terraferma – e in epoca premoderna possedere cavalli era un indicatore di status fondamentale. Sanudo ci ricorda in questo modo che le famiglie più importanti di Venezia erano più ricche e inclini ad ostentare rispetto alle loro controparti di terraferma. Come le carrozze nelle strade cittadine, le gondole offrivano un certo grado di privacy quando le felze erano tirate chiuse, garantendo discrezione a donne e uomini che si muovevano per la città, spinti da gondolieri che di solito indossavano i colori araldici della famiglia.
Una proporzione significativa dei rematori specializzati era costituita da africani, alcuni dei quali ridotti in schiavitù, altri liberati ed impiegati al servizio di queste famiglie dell’élite. Le caratteristiche imbarcazioni veneziane, così come i rematori e gli occupanti ben vestiti, sono un elemento ricorrente nelle vedute della città, dalla famosa veduta della città di Jacopo de’ Barbari del 1500 alle scene del Canaletto dipinte due secoli dopo.
Fabrizio Nevola
Bibliografia
Filippo de Vivo, 2016. ‘Walking in Renaissance Venice’, I Tatti Studies in the Italian Renaissance, 19, pp. 115–41
Dennis Romano, 1994. ‘The Gondola as a Marker of Station in Venetian Society’, Renaissance Studies, 8, pp. 359–74 Lowe, K. J. P., 2013. ‘Visible Lives: Black Gondoliers and Other Black Africans in Renaissance Venice’, Renaissance Quarterly, 66, pp. 412–52
