L’industria dell’ospitalità

Molte persone si stabilivano a Venezia per periodi brevi, che fossero giorni, settimane o mesi. La maggior parte di questi visitatori e immigrati temporanei veniva per lavorare, anche se alcuni, come i pellegrini diretti in Terra Santa, passavano di lì per recarsi altrove. Nel Rinascimento si assiste anche alla comparsa di proto-turisti che venivano a visitare la città per semplice piacere o curiosità. Per accoglierli, Venezia aveva sviluppato un fiorente settore dell’ospitalità commerciale, che integrava, e alla fine superava, le precedenti forme di ospitalità caritatevole, come gli ostelli dei pellegrini.
Un gruppo di grandi locande o osterie si trovava nelle zone centrali della città, vicino a Piazza San Marco e al quartiere commerciale di Rialto. Queste si rivolgevano a una varietà di visitatori di diverse condizioni sociali. Tuttavia, anche numerosi residenti veneziani affittavano stanze o letti nelle loro case agli stranieri. Molti di loro erano vedove come Elena, personaggio nel percorso ‘Città rifugio’, e si guadagnavano da vivere o integravano il loro reddito in questo modo. Fornire vitto e alloggio era una delle poche strade rispettabili che permetteva a queste donne di mantenersi in modo indipendente.
Nel Cinquecento esistevano centinaia di alloggi informali (noti come albergarie e, più tardi, camere locande) sparsi per la città, anche se molti di essi si trovavano nelle parrocchie vicine alla zona portuale principale. Nel Cinquecento, le autorità veneziane si impegnarono maggiormente per registrare queste case, per poter riscuotere le tasse ma anche controllare più da vicino gli inquilini stranieri. Sebbene molte case continuassero a operare illegalmente, i registri sopravvissuti ci danno un’immagine frammentaria del variegato panorama degli alloggi in città.
Oltre a fornire alloggi ai migranti temporanei, le case di accoglienza rappresentavano un importante luogo di prima accoglienza per i futuri residenti, prima che trovassero una sistemazione più stabile. I loro gestori potevano quindi agire come mediatori essenziali tra diversi tipi di migranti, la comunità locale e le autorità veneziane. Essendo spesso essi stessi migranti, i gestori potevano condividere con i loro inquilini la lingua e l’esperienza del viaggio e aiutarli a orientarsi in una nuova città, a trovare lavoro e a costruire reti sociali. Alcuni stranieri si recavano in case gestite e occupate da loro connazionali, dove potevano parlare la loro lingua e mangiare cibi familiari. Tuttavia, molte strutture ospitavano una clientela eterogenea che doveva trovare il modo di convivere a stretto contatto – condividendo i pasti e persino le stanze o i letti – nonostante le differenze di provenienza e, talvolta, di credo religioso.
Rosa Salzberg (tradotto da Umberto Cecchinato)
Bibliografia
Salzberg, Rosa. “Mobility, cohabitation and cultural exchange in the lodging houses of early modern Venice,” Urban History, 46, 3 (2019): 398-418.
Costantini, Massimo. “Le strutture dell’ospitalità,” in Alberto Tenenti and Ugo Tucci (eds.), Storia di Venezia, V. Il Rinascimento: Società ed economica, Rome: Istituto della enciclopedia italiana, 1996, pp. 881-911.
