Il commercio sessuale vicino al porto

In quanto città portuale, Venezia aveva anche una fiorente industria del sesso, che si intersecava in vari punti con il commercio dell’ospitalità. La prostituzione era considerata un “servizio essenziale”, soprattutto per i marinai e i mercanti in visita alla città, ma si cercava di contenerla in alcune zone. In seguito alla peste nera del XIV secolo, quando il commercio fu temporaneamente bloccato, il governo veneziano decretò che era “necessario, a causa della moltitudine di persone che entravano e uscivano dalla nostra città, trovare a Venezia un luogo adatto come dimora per le prostitute”. Fu così istituito un quartiere di bordelli vicino all’area del mercato di Rialto, chiamato Castelletto, dove tutte le prostitute erano obbligate a vivere.
Tuttavia, all’epoca di Elena, personaggio del percorso ‘Città rifugio’, queste donne si erano diffuse in numerose aree urbane, come suggerisce un opuscolo della metà del XVI secolo chiamato Tariffa delle puttane, che elencava decine di lavoratrici del sesso veneziane con la loro ubicazione e il prezzo richiesto. In particolare, probabilmente per la sua vicinanza al porto, il sestiere di Castello ospitava una moltitudine di case di prostituzione, così come numerosi bagni (stue in dialetto veneziano) – nominalmente luoghi per il bagno e l’igiene personale, ma spesso associati alla prostituzione.
Se Venezia era famosa anche per le sue cortigiane di alto livello, alcune delle quali erano affermate poetesse o musiciste, la maggior parte delle lavoratrici del sesso era povera. Molte di loro erano immigrate arrivate in città con poche altre opzioni per guadagnarsi da vivere; alcune erano addirittura vittime di tratta. Queste donne cercavano i loro clienti nelle locande centrali, ma alcune affittavano anche camere a stranieri, soprattutto in età avanzata, quando avevano bisogno di diversificare le loro carriere.
Il caso di una di queste donne, Paolina Briani, compare negli archivi dell’Inquisizione veneziana dopo il 1580. Da quando l’Inquisizione iniziò a operare a Venezia, a metà del XVI secolo, una delle sue aree di occupazione era rappresentata dalle relazioni promiscue tra cristiani e persone di altre fedi. Questo portò a indagare sulle albergarie, in cui stranieri e veneziani condividevano lo spazio domestico, scambiavano idee religiose e interagivano socialmente – e sessualmente. La casa di Paolina si trovava in questa parrocchia ed era frequentata soprattutto da mercanti musulmani ottomani in visita a Venezia. Paolina e i suoi ospiti furono denunciati per aver intrattenuto rapporti promiscui, religiosi e sessuali. Vicini e conoscenti di Paolina furono chiamati a testimoniare davanti all’Inquisizione, che si riuniva due volte alla settimana nella cappella di San Teodoro, dietro la Basilica di San Marco, a pochi minuti a piedi da qui. Questo caso e altri simili ci danno un’idea degli incontri multiculturali che potevano avvenire in queste case e, allo stesso tempo, di come esse fossero collegate a reti sociali più ampie all’interno dei loro quartieri.
Rosa Salzberg (tradotto da Umberto Cecchinato)
Bibliografia
Saundra Weddle, “Mobility and Prostitution in Early Modern Venice”, Early Modern Women: An Interdisciplinary Journal 14, 1 (2019): 95-108.
Paula C Clarke, “The Business of Prostitution in Early Renaissance Venice”, Renaissance Quarterly 68, 2 (2015): 419–64.
Ortega, Stephen. Negotiating Transcultural Relations in the Early Modern Mediterranean: Ottoman-Venetian Encounters, Surrey, UK: Ashgate, 2014.
