Le liturgie pubbliche del regime

Il regime fascista ha investito molto sul valore propagandistico della ritualità collettiva. Oltre a celebrare il potere dell’Italia fascista, parate militari e cerimonie pubbliche sono servite a legittimare il governo mussoliniano e a consolidare il consenso verso il fascismo e il suo capo. L’articolato insieme di rituali e pratiche simboliche costruite dal regime per celebrare se stesso ha dato vita a una vera e propria liturgia di Stato, espressione di una religione civile fondata sul culto della personalità mussoliniana.
Progettati per evocare emozioni collettive e rafforzare il senso di identità nazionale tra i cittadini, i rituali fascisti furono oggetto di un significativo investimento programmatico, che poneva al centro dell’apparato liturgico del regime la celebrazione della patria e il culto di Mussolini. Per la definizione del proprio bagaglio simbolico e rituale, il fascismo ha attinto a diversi riferimenti storico-culturali, mescolando la memoria dell’arditismo bellico al mito della romanità, il recupero di suggestioni dannunziane e avanguardiste alle simbologie militari.
Accanto alla fascistizzazione di feste già esistenti (come il 4 novembre, data della vittoria della Prima guerra mondiale), il governo mussoliniano ne ha promosso di nuove, utilizzando le commemorazioni come strumenti di consolidamento del regime. La festa dei lavoratori del 1° maggio fu abolita e assorbita nella celebrazione del Natale di Roma (21 aprile); quella del 20 settembre in ricordo dell’Unità d’Italia fu dismessa nel 1930. Feste nazionali divennero gli anniversari della marcia su Roma (28 ottobre), quello della fondazione dei fasci di combattimento (23 marzo) e quello dei Patti lateranensi (11 febbraio). Diverse festività religiose furono oggetto di una risignificazione in chiave fascista: il 24 dicembre divenne la Giornata della madre e del fanciullo, l’Epifania fu trasformata nel 1928 nella Befana fascista, festa che prevedeva una grande distribuzione di doni ai bambini e alle famiglie più povere.
Man mano che il partito crebbe di dimensioni, controllando e incorporando porzioni sempre più ampie della società, il pubblico delle manifestazioni fasciste crebbe, fino a includere grandi masse di cittadini. Le adunate degli anni Trenta, finalizzate a esibire la forza del regime, coinvolsero le folle in tutto il Paese.

Un ruolo centrale nella liturgia fascista lo ebbe lo stesso Mussolini, oggetto di un’imponente ritualizzazione pubblica. I viaggi del duce in tutta Italia si svolsero all’insegna di solenni cerimonie, con cortei e manifestazioni di piazza che chiamavano a raccolta la cittadinanza. Le adunate romane di piazza Venezia, che culminavano nei discorsi di Mussolini al balcone, vedevano la partecipazione di decine di migliaia di persone. In molti casi erano trasmesse via radio e diffuse in altre piazze del Paese, permettendo ai cittadini italiani di partecipare al medesimo rito collettivo e celebrare collettivamente la propria fedeltà al regime.
Maurizio Cau
Bibliografia:
E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2001
S. Cavazza, Piccole patrie. Feste popolari tra regione e nazione durante il fascismo, Bologna, il Mulino, 2003
