La scuola sotto il fascismo

Fin dai primi anni Venti, l’istruzione e l’educazione si impongono come elementi cardinali nella creazione dell’uomo nuovo fascista.
Tanto durante l’infanzia quanto nell’adolescenza, le scuole e le organizzazioni del regime scandiscono il tempo e gli spazi della gioventù applicando i dettami della dottrina mussoliniana: ordine, disciplina e gerarchia. Dagli 8 ai 14 anni si è balilla e piccola italiana, dai 14 ai 18 anni avanguardista e giovane italiana approdando, infine, ai gruppi universitari e al partito.
Dentro e fuori dalle scuole, il fascismo organizza ragazze e ragazzi in forme paramilitari promuovendo il culto del capo e la cura del vigore fisico, disponendo adunate collettive, trattando l’educazione come strumento di propaganda. Nelle aule l’immagine del duce risalta a fianco del re e del crocifisso mentre la storia del regime è narrata nei libri di testo. È introdotto l’obbligo del saluto romano come sono introdotte le celebrazioni della marcia su Roma, della Grande guerra e, nei secondi anni Trenta, dell’impero fascista. Il sé è sopraffatto dalla dimensione pubblica, da un rapporto sempre più stretto tra scuola, società e politica che si estende ben oltre l’attività didattica generando, anche in Trentino, aperti conflitti con il fronte cattolico.


L’interesse per il campo educativo si concretizza in un fervore legislativo senza pari avviato con la riforma Gentile del 1923 e conclusosi con la Carta della Scuola firmata da Bottai nel 1939. Le direttive gentiliane forzano il carattere elitario dell’istruzione secondaria respingendo l’idea di una scuola di massa, sopprimendo i consigli scolastici, elevando la carica del provveditore. È riformata anche la scuola di base, chiamata elementare, suddivisa tra scuole statali, scuole provvisorie da affidarsi a istituzioni quali l’Opera Nazionale di Assistenza all’Italia Redenta e scuole sussidiate gestite da privati. Centrale è il ruolo della religione cattolica posta, dopo il Concordato del 1929, a «fondamento» del sistema educativo mentre l’obbligo scolastico è fissato dai 6 ai 14 anni, una novità per il contesto italiano ma non per il Trentino.
Nella regione, gli oltre duemila maestri – in maggioranza donne – sono la spina dorsale del piccolo esercito che il regime distribuisce anche negli isolati centri di montagna. Sorgono «gruppi d’azione», biblioteche, mostre didattiche e giornalini scolastici pensati per divulgare il credo fascista favorendo una propaganda che, pure in Trentino, ben poco si cura delle contraddizioni di cui è espressione, di una politica educativa fondata più sull’irreggimentazione che sulla pedagogia, intenta a formare non uomini e donne, ma fascisti e fasciste.
Giorgio Lucaroni
Bibliografia:
Jürgen Charnitzky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime 1922-1943, La Nuova Italia, Firenze, 1996
Quinto Antonelli, Storia della scuola trentina. Dall’umanesimo al fascismo, il Margine, Trento 2013
