8. Palazzo delle Prigioni Nove

L’arcipelago carcerale

Il sistema di giustizia penale di Venezia all’inizio dell’era moderna fu un’eccezione rispetto al resto d’Europa. Nel Settecento, la maggior parte dell’Europa assisté al passaggio dalle punizioni corporali alla detenzione come pena dominante per i criminali, con un rapido aumento delle pene detentive nell’ultimo quarto del secolo. Ma Venezia aveva già da secoli fatto uso dell’incarcerazione. L’edificio che vedete qui fu costruito tra il 1589 e il 1614 e collegato al Palazzo Ducale dal cosiddetto “Ponte dei Sospiri”, il nome che alcuni poeti romantici diedero al passaggio, immaginando che i prigionieri dessero un ultimo sguardo alle finestre verso la laguna.

Diversi tribunali, tra cui gli Esecutori contro la Bestemmia, l’Inquisizione, il Consiglio dei Dieci e i Signori della Notte, utilizzarono queste prigioni. L’edificio comprendeva anche infermerie, una cappella, celle separate per le detenute, un’aula di tribunale, un archivio, una camera di tortura, un luogo dove conservare i beni rubati e spazi per le guardie.

Le sentenze emesse dagli Esecutori contro la bestemmia potevano variare da un mese a un decennio. Le condanne più severe erano in celle “all’oscuro”, prive di finestre, mentre quelle più leggere erano “alla luce”, con finestre che lasciavano entrare aria fresca e luce naturale. Le condizioni di detenzione variavano anche in base al livello della cella: quelle in basso spesso si allagavano con l’alta marea, mentre quelle in alto, sotto il tetto di piombo (i famigerati piombi, da cui scappò Casanova), diventavano insopportabilmente calde in estate. Le richieste di clemenza dei prigionieri includevano spesso note di medici professionisti, che testimoniavano le condizioni insalubri che portavano a una cattiva salute a lungo termine.

Sebbene queste fossero le principali prigioni di Venezia, c’erano altri luoghi dove potevano essere rinchiuse persone problematiche. Sono ancora visibili le celle al piano terra del Palazzo dei Camerlenghi, accanto al Ponte di Rialto, in cui venivano rinchiuse le persone inadempienti. C’erano anche vari altri luoghi per coloro che in qualche modo causavano disturbo, anche se non violavano la legge. Le donne indisciplinate potevano finire nei rifugi religiosi, che lo volessero o meno; i malati di sifilide potevano essere confinati negli Incurabili alle Zattere. I viaggiatori provenienti da porti infestati dalla peste venivano temporaneamente confinati nel Lazzaretto Nuovo, mentre i contagiati venivano inviati nel Lazzaretto Vecchio, da cui difficilmente avrebbero fatto ritorno. Entrambi i Lazzaretti erano isole e contribuivano a contenere l’infezione potenziale o reale. Dal 1716 il Senato veneziano designò un’altra isola, San Servolo, come ospedale militare, ma dal 1725 fu utilizzata anche per segregare i malati di mente dal resto della società. Rimase una struttura psichiatrica fino al 1978 e oggi ospita il museo dell’ex manicomio.

Celeste McNamara

Bibliografia:

Franzoi, Umberto. Le prigioni della Repubblica di Venezia. Venice: Venezia editrice, 1966.

Povolo, Claudio, and Giovanni Chiodi, eds. L’amministrazione della giustizia penale nella Repubblica di Venezia (secoli XVI-XVIII). I. Lorenzo Priori e la sua Prattica Criminale. II. Retoriche, stereotipi, prassi. Verona: Cierre edizioni, 2004.

Scarabello, Giovanni. Carcerati e carceri a Venezia nell’età moderna. Rome: Istituto della Enciclopedia Italiana, 1979.

Shaw, James. The Justice of Venice: Authorities and Liberties in the Urban Economy, 1550-1700. Oxford: Oxford  University Press, 2006.