Il mito di Battisti durante il fascismo

Socialista, irredentista, scienziato, martire, Cesare Battisti è tra le figure più celebri della storia trentina. Arruolatosi volontario tra le fila dell’esercito regio e impiccato dagli austriaci nel luglio del 1916, il tenente/geografo diviene fin dalla sua morte un simbolo della resistenza al giogo straniero occupando una posizione centrale nel pantheon degli eroi prodotti dalla Grande guerra.
Pur osteggiata dalla vedova Ernesta Bittanti, la rilettura prima liberale e poi fascista del sacrificio battistiano passa soprattutto dall’architettura: dal Monumento alla Vittoria di Bolzano – inizialmente da dedicare al martire – progettato da Marcello Piacentini e inaugurato nel 1928 e dal Mausoleo eretto sul Doss che, ancora oggi, accoglie le spoglie del patriota trentino.
Auspicato fin dal 1916, abbandonato e ripreso tra il 1922 e il 1926 e da ultimo realizzato tra il 1932 e il 1935, il monumento – una soluzione circolare a colonne di Ettore Fagiuoli – domina la vallata dal colle che per sessantotto anni aveva ospitato le fortificazioni austriache restituendolo simbolicamente alla città. All’interno del sepolcro, un’invocazione di Giuseppe Gerola, selezionata dal duce tra le proposte arrivate da diversi intellettuali trentini, recita: «A Cesare Battisti che preparò a Trento l’unione alla patria ed i nuovi destini» sintetizzando il Battisti voluto dal regime, l’esaltazione di un irredentismo che non trova più la sua ragion d’essere nel nazionalismo ma nell’avvenire della patria fascista.

Di questa rivendicazione celebrativa e spirituale è espressione l’inaugurazione del 26 maggio 1935. Alla famiglia è concesso l’onore del trasporto della salma e un turno di veglia mentre è negata la traslazione privata. In rappresentanza del governo giunge Luigi Razza, ministro dei Lavori pubblici, mentre il duce ordina che la corona della prefettura trentina rechi la dicitura «il Governo Fascista» e non «il Capo del Governo». Eppure, a fronte del riserbo mussoliniano, le cronache raccontano di una cerimonia dal grande impatto emotivo. Lungo il tracciato del corteo – dal cimitero al Doss – punteggiato da 156 corone, si affollano pennoni, ghirlande e arazzi. All’uscita del camposanto giganteggia un drappeggio di otto metri con la scritta «presente» illuminata a notte mentre in via Belenzani torreggiano trentaquattro colonne romane di oltre tre metri sormontate da aquile dorate come dorati sono i due fasci littori all’ingresso del ponte San Lorenzo. Sul colle, nell’istante dell’inumazione, alla presenza del re, tutte le torri d’Italia risuonano per cinque minuti – non per i dieci proposti – a sancire una cerimonia forse più luttuosa che solenne, una sacralizzazione che, per quanto imperfetta, eleva il martire italiano a martire fascista.
Giorgio Lucaroni
Bibliografia:
Bruno Tobia, Dal milite ignoto al nazionalismo monumentale fascista (1921-1940), in Walter Barberis (ed.), Storia d’Italia: Annali 18. Guerra e pace, Einaudi, Torino, 2002, pp. 605-642
Massimo Tiezzi, L’eroe conteso. La costruzione del mito di Cesare Battisti negli anni 1916-1935, Museo Storico in Trento, Trento, 2007
